La Juventus torna da Cipro con una vittoria fondamentale, ma ancora una volta il primo tempo lascia più interrogativi che certezze. Dopo le ammissioni dello stesso Spalletti sulla gara di Napoli, anche l’avvio europeo contro il Pafos alimenta dubbi sull’impostazione iniziale scelta dal tecnico. L’idea era quella di scardinare il muro avversario puntando su qualità tra le linee e superiorità costante sulle fasce, una lettura che sulla lavagna sembrava logica ma che in campo ha prodotto ben poco. Kalulu e Koopmeiners come braccetti, McKennie e Cambiaso sugli esterni, Zhegrova e Yildiz a garantire imprevedibilità più il supporto di Miretti avrebbero dovuto creare densità e soluzioni. Invece l’effetto è stato opposto: la Juve ha faticato enormemente a costruire gioco, mentre Locatelli e Miretti, entrambi in una serata complicata, non sono riusciti a incidere né in regia né in copertura.
Il Pafos, ordinato e coraggioso, ha approfittato delle falle bianconere, colpendo in ripartenza e costringendo Di Gregorio a interventi tutt’altro che banali. Nonostante l’approccio offensivo e la pressione immediata dopo la perdita del possesso, la Juventus ha prodotto poco, soffrendo il ritmo e le transizioni dei ciprioti. La sensazione era quella di una squadra lunga, poco fluida, spesso in ritardo nelle letture e quasi mai capace di dare continuità alle proprie azioni. Un quadro già visto in altre uscite recenti, che conferma come la strada verso un’identità chiara sia ancora lunga.
La ripresa ha mostrato un volto differente, complice l’ingresso di Conceiçao per Zhegrova, ancora lontano dalla condizione ideale. Con più gamba e aggressività sulla trequarti, la Juve ha iniziato almeno ad alzare il baricentro, pur continuando a faticare nella ricerca di David, poco servito e mai davvero pericoloso. La svolta è arrivata quando Spalletti ha deciso di ribaltare completamente l’impianto tattico, passando al 4-2-3-1 e inserendo Openda per Locatelli. Un cambio che ha rimescolato tutto: Kelly e Kalulu centrali, McKennie e Cambiaso trasformati in finti terzini offensivi, Koopmeiners riportato nel cuore del gioco accanto a Miretti e il trio Conceiçao-Openda-Yildiz a supporto di David.
Da una combinazione proprio tra i due terzini “mascherati” è nato il gol del vantaggio, poi raddoppiato da una giocata di Yildiz che ha permesso al canadese di sbloccarsi. Un finale in crescendo, certo, ma che non cancella le fragilità mostrate per larghi tratti. La Juventus ha preso ciò che serviva, i tre punti, ridando ossigeno alla classifica e al percorso europeo, ma sul piano del gioco la strada resta tortuosa.
L’impressione è che Spalletti, arrivato in corsa e ancora immerso in una fase di sperimentazione forzata, non abbia ancora individuato la sua formazione tipo né i principi che questa squadra può realmente sostenere. Per un tecnico che fa della costruzione e dell’identità tattica una missione imprescindibile, non è un dettaglio. È il nodo principale da sciogliere per trasformare una vittoria sofferta in un punto di partenza e non nell’ennesimo segnale di una Juve ancora tutta da decifrare.