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Meritosofia: ritrovare la vocazione politica

L'articolo a firma di Paolo Cancelli, Direttore Ufficio Sviluppo della Pontificia Università Antonianum e Ministro Integrazione Culturale Nazionale e Internazionale Meritocrazia Italia

Meritosofia: ritrovare la vocazione politica

Pensare non è soltanto un atto cognitivo, ma un gesto morale e politico. L’intelligenza diviene servizio, la conoscenza evolve in responsabilità, la verità si fa comunione. Promuovere la dignità significa educare alla sapienza; coltivare il merito rendere possibile la giustizia; esercitare la diplomazia delle culture consente di orientare la conoscenza alla pace. Così la Meritosofia si configura come un umanesimo dell’armonia, una filosofia che congiunge il pensiero e la vita, la libertà e la giustizia sociale, l’uguaglianza sostanziale e il dovere di solidarietà, restituendo all’uomo la consapevolezza di essere nel mondo con sguardo critico e costruttivo, nel tempo e nella storia con spirito di fraternità”.

A scrivere è Paolo Cancelli, Direttore Ufficio Sviluppo della Pontificia Università Antonianum e Ministro Integrazione Culturale Nazionale e Internazionale Meritocrazia Italia.

La dignità e l’isonomia sostanziale come fondamento del pensiero

“Siamo convocati dall’esigenza di interrogare la realtà contemporanea e di decostruire il paradigma antropocentrico-tecnocratico. Camminiamo nella sapienza del merito, via culturale che intende restituire alla dignità umana la sua intelligibilità ontologica e il suo dinamismo etico, oltre le riduzioni utilitaristiche imposte dal falso progresso. Il punto di avvio della transizione è la consapevolezza che la dignità appartiene a tutte le persone del mondo, che non si perde, non si negozia, non si misura: essa è principio costitutivo della persona e base della civiltà, tanto nel suo orizzonte locale quanto in quello globale. In senso meritosofico, la dignità è un processo relazionale e sociale dell’essere: non si fonda sul possesso personale, ma sul riconoscimento comunitario; non nasce dal positivismo normativo, ma dal diritto naturale dell’essere che si apre alla relazione con il mondo. Accompagna il diritto fondamentale dell’esistenza, ma al tempo stesso genera un dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale. Solo chi è riconosciuto nella propria dignità può esercitare la libertà vivente in modo responsabile e generativo, perché la libertà autentica non è affermazione formale dell’io, ma espansione vibrante del noi. In questa prospettiva, il merito non è criterio di selezione o di superiorità gerarchizzante, bensì movimento ascendente della dignità ontologica, la sua grammatica etica e civile nell’agire rende effettiva l’amicizia sociale, co-costruzione di talenti al servizio al bene comune. Meritare significa servire la polis con altissima umiltà, agire con diaconia e competenza per gli ultimi, rendendo visibile nella condotta la qualità interiore dell’essere. Un servizio allo sviluppo integrale dell’uomo nella fedeltà alla vocazione politica del bene comune, attenti custodi dei valori della carità e della giustizia sociale. Su questo fondamento che coniuga la tradizione nell’innovazione si eleva l’isonomia sostanziale, principio cardine della giustizia relazionale e architrave dell’ordine meritosofico. Rendere vivente l’uguaglianza formale, garantendo non soltanto la parità dei diritti ma la concreta possibilità per ciascuno di esprimere le proprie potenzialità. L’isonomia sostanziale è ciò che rende possibile l’isegoria, la libertà di parola fondata sulla coscienza critica e sulla partecipazione attiva alla vita della polis. È l’innesco sociale della dignità, la condizione della sua piena attuazione: riconoscere che la diversità dei talenti e delle funzioni sociali compie l’uguaglianza, perché ogni differenza è chiamata a concorrere armonicamente alla totalità. È la sinfonia delle diversità come chiave edificante dei popoli. La Meritosofia rifiuta sia l’omologazione livellante sia la competizione elitaria: afferma che il merito, per essere giusto, deve essere accessibile, e per essere autentico, deve essere solidale. L’isonomia sostanziale diviene così il luogo in cui la dignità si fa giustizia e il merito si fa comunione, lo spazio simbolico in cui il pensiero libero diventa responsabilità condivisa. È la misura interiore della civiltà e il principio invisibile che regge l’equilibrio tra diritti e doveri, tra l’io e il noi, tra l’uomo e il mondo. La persona, in questa prospettiva, non è definita dall’autosufficienza, ma dalla capacità di rispondere al mondo con la pienezza della propria vocazione relazionale”.

Il dovere di solidarietà, la dignità sociale e la diplomazia delle culture come via della giustizia e della pace

In tale orizzonte di senso la solidarietà è la forma relazionale del merito e la dimensione sociale della dignità, nella consapevolezza che l’esistenza umana è intrinsecamente interdipendente: nessuno si salva da solo, e ogni atto personale trova compimento solo nella cooperazione e nella cura del noi. Il dovere di solidarietà si radica nella coscienza che la libertà individuale non è piena se non diventa libertà condivisa. Per questo la Meritosofia assume il dovere di solidarietà come legge dell’agire pubblico: ogni merito autentico è solidale, perché ciò che si conquista nella verità non si trattiene per sé, ma si offre come servizio pubblico per il bene comune. La dignità sociale rappresenta il riflesso istituzionale di questa idea di polis: indica la capacità della comunità politica di riconoscere e promuovere la dignità dei singoli attraverso le proprie strutture, leggi e valori. È il volto pubblico della dignità umana, la base di un ordinamento giuridico panumano. La società degna è quella che permette a ciascuno di fiorire secondo la propria vocazione, creando condizioni di isonomia reale e strumenti di partecipazione effettiva alla vita pubblica. La vocazione politica non può nascere dall’alto, ma dalla coscienza del noi che si fa architettura istituzionale e impegno politico attivo, educazione civica e cultura del dialogo istituzionale. La dignità sociale è dunque un principio di benessere e di giustizia della convivenza, da tradurre in politiche pubbliche e strutture culturali capaci di incarnare il patto educativo globale e la co-responsabilità geopolitica. La diplomazia delle culture ne è la naturale estensione planetaria e dialogica. Se la dignità è universale e relazionale, essa non può restare prigioniera di una sola tradizione o di un singolo popolo: deve divenire logos dell’umanità. La cultura del dialogo è la via; la collaborazione comune è la condotta; la conoscenza reciproca è il metodo e il criterio. Questa è la bussola che porta il movimento verso la costruzione della casa comune. È la pedagogia della pace vivente, il percorso che trasforma la diversità in convergenza e l’identità in reciprocità. Non si ricerca l’uniformità sincretica, ma l’armonia delle differenze, nella consapevolezza che ogni cultura custodisce una porzione di verità destinata all’incontro globale. La pace, così intesa, è attiva e generativa: non semplice sospensione del conflitto, ma pienezza relazionale fondata sulla reciprocità, sul rispetto e sul perdono. Il perdono, inteso in senso filosofico, rappresenta la massima espressione del merito interiore: esso è il gesto con cui la libertà si purifica dal risentimento e ritrova la propria sorgente creativa. Perdona chi ha raggiunto la misura più alta della dignità, perché riconosce che il male non si vince con la forza, ma con l’eccedenza del bene. La Meritosofia riconosce nel perdono la via della libertà e nella pace il suo frutto più maturo: una pace viva e prospera, fondata sulla coscienza comune della dignità e sulla solidarietà come struttura portante della giustizia”.

L’intelligenza integrale come diaconia istituzionale della sapienza e architettura dell’armonia tra le culture

“Nel culmine del pensiero politico fondato sulla valorizzazione del merito si eleva il principio dell’intelligenza integrale, dimensione epistemologica della dignità e forma cognitiva della solidarietà. Essa si fonda sull’idea che il sapere, per essere autentico, debba essere integrale, cioè capace di valorizzare le molteplici forme della conoscenza, unendo ragione e vita, tecnica e sapienza, scienza e umanità. L’intelligenza integrale è poliedrica: non è accumulo, ma elevazione a potenza, non inferenza di dati, ma coscienza relazionale della complessità. È un pensare che riconosce l’interconnessione di tutte le cose nelle diverse aree geopolitiche e rifiuta il riduzionismo  e la frammentazione localista, restituendo all’impegno del conoscere  la dedizione alla responsabilità morale e comunitaria. Si propone così una nuova diaconia del sapere, in cui l’intelligenza non domina ma serve, non divide ma unisce. Nel movimento fondato sul merito il potere è servizio. Il logos politico diviene spazio di armonizzazione dei saperi, luogo di dialogo tra discipline, culture e generazioni. In questa prospettiva intergenerazionale e interclassista, la ricerca diventa azione, laboratorio della polis, universitas in cui la conoscenza si trasforma in cura del mondo e la libertà del pensare diventa esercizio di giustizia. L’intelligenza integrale non è mai neutrale: è dalla parte della sapienza incarnata per la fraternità, innesco generativo di comunione, scienza che custodisce la vita e il benessere integrale dei popoli, a partire dalle periferie della storia e dalle frontiere del mondo. L’ecologia integrale, paradigma speculativo di tale visione, riconosce che la dignità dell’uomo è inseparabile da quella della terra che abita. L’essere umano non è misura assoluta, ma parte viva di un ordine di relazioni che lo precede e lo trascende nel Creato. Custodire la terra, le culture, le generazioni future e gli esseri viventi è un atto di altissima umiltà, poiché solo la Madre Terra nutre e governa. L’intelligenza integrale diventa così vocazione dell’armonia, principio di connessione tra differenze ontiche e ontologiche. Una prospettiva artistica della ragione che coniuga verità e amore, libertà e responsabilità, pensiero e vita. Nell’intelligenza integrale l’uomo ritrova la propria vocazione universale: essente nel mondo dei viventi, diacono dell’altissima umiltà, custode della dignità ontologica e sociale, co-costruttore dell’armonia tra le culture per il futuro della nostra casa comune“.