La Commissione Europea ha presentato un pacchetto di misure contro Israele che, se approvato dagli Stati membri, potrebbe segnare un passaggio inedito nei rapporti tra Bruxelles e lo Stato ebraico.
The situation in Gaza is untenable.
This war needs to end.Today, I presented a robust package of sanctions on Hamas terrorists, extremist ministers in the Israeli government, violent settlers and entities that support impunity in the West Bank.
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— Kaja Kallas (@kajakallas) September 17, 2025
Le proposte includono l’introduzione di dazi doganali per oltre 200 milioni di euro, l’imposizione di sanzioni mirate a ministri e coloni israeliani e la sospensione di parte degli aiuti bilaterali, per un totale di circa venti milioni di euro.
Gaza, l’Europa al lavoro sulle sanzioni
La presidente Ursula von der Leyen aveva anticipato la scorsa settimana l’intenzione di intervenire sul quadro dell’Accordo di associazione con Israele. Nelle score ore, le misure sono state formalmente illustrate, con l’obiettivo dichiarato di fare pressione sul governo di Tel Aviv affinché la situazione umanitaria a Gaza non peggiori ulteriormente.
Secondo l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, Kaja Kallas, l’operazione militare israeliana a Gaza City rappresenta “un’escalation della guerra” che richiede una risposta politica e diplomatica decisa da parte europea.
“Non intendiamo punire Israele – ha sottolineato – ma spingere verso un miglioramento concreto della situazione nella Striscia, che ormai è umanamente intollerabile”.
Sulla stessa linea il commissario al Commercio, Maroš Šefčovič, che ha parlato di decisioni “difficili ma proporzionate”, giustificate dalla gravità delle condizioni umanitarie.

La reazione da parte israeliana non si è fatta attendere: il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar ha definito la proposta “distorta sul piano morale e politico”, avvertendo che eventuali provvedimenti europei riceveranno “una risposta adeguata”.
Il nodo commerciale: dazi per 227 milioni di euro
La parte più rilevante del pacchetto riguarda il commercio. La Commissione propone infatti di sospendere le preferenze tariffarie di cui Israele gode attualmente grazie all’Accordo di associazione con l’Unione. In termini pratici, questo significherebbe che i prodotti israeliani importati in Europa verrebbero gravati da dazi identici a quelli applicati a qualsiasi altro Paese con cui non esista un accordo di libero scambio.
Secondo le stime di Bruxelles, ciò comporterebbe dazi per circa 227 milioni di euro su esportazioni israeliane del valore complessivo di 5,8 miliardi, in particolare prodotti agricoli. Non verrebbero invece toccati i beni che già beneficiano di tassi zero o quasi zero nell’ambito del regime OMC, che rappresentano circa il 63% delle esportazioni israeliane verso l’Europa.
Il rischio, tuttavia, è che Israele possa reagire introducendo dazi sulle importazioni dall’Ue, con un costo potenziale stimato in 574 milioni di euro per gli esportatori europei. È un rischio non marginale se si considera che l’Unione rappresenta il 32% dell’export israeliano, mentre Israele incide per appena l’8% su quello europeo.
Attualmente, i flussi commerciali bilaterali ammontano a 26,7 miliardi di euro di esportazioni Ue verso Israele e a 15,9 miliardi in direzione opposta. Da notare che nessuna delle misure prospettate riguarda le importazioni di armi, settore rimasto escluso.
Le difficoltà politiche: divisioni tra i Ventisette
Se sul piano tecnico le proposte sono state delineate con precisione, quello politico si preannuncia il terreno più accidentato. Per approvare la sospensione delle preferenze tariffarie serve infatti la maggioranza qualificata dei Ventisette, e già diversi governi hanno espresso contrarietà. Germania e Italia, il cui peso è decisivo, si sono schierate contro, così come Ungheria, Austria, Repubblica Ceca e Bulgaria. È sufficiente questo gruppo per bloccare l’iniziativa.
Lo stesso Kallas ha ammesso che “le linee politiche restano molto ferme” e che il consenso è tutt’altro che acquisito. A luglio, per esempio, non si era riusciti a trovare un accordo nemmeno su una misura molto più blanda, che prevedeva la sospensione parziale della partecipazione israeliana al programma di ricerca Horizon Europe.
Le sanzioni personali: due ministri e coloni israeliani
Altro capitolo cruciale riguarda le sanzioni individuali. La Commissione propone di colpire due ministri considerati tra i più radicali: Bezalel Smotrich, titolare delle Finanze, e Itamar Ben Gvir, responsabile della Sicurezza nazionale. Entrambi sono noti per le loro posizioni estremiste sia riguardo a Gaza che in materia di colonie.
Oltre ai due membri del governo, la lista sanzionatoria include tre coloni radicali, che si aggiungono ai nove già inseriti in precedenti provvedimenti, nonché dieci esponenti di Hamas. Tuttavia, in questo caso l’ostacolo procedurale è ancora più alto, poiché le sanzioni personali richiedono l’unanimità dei Ventisette. L’idea di colpire direttamente ministri in carica di un Paese partner rende l’iter politico particolarmente complesso e controverso.
Lo stop agli aiuti diretti: margini di autonomia per Bruxelles
C’è però un fronte sul quale l’Unione può agire senza dover fare affidamento sui governi nazionali: quello del sostegno finanziario diretto. La Commissione ha annunciato che bloccherà l’erogazione di 6 milioni di euro all’anno previsti per Israele nell’ambito del bilancio comunitario. Verranno inoltre congelati 9,4 milioni destinati a progetti non ancora avviati e 4,3 milioni già contrattualizzati, grazie a una clausola che consente di sospendere i pagamenti.
Restano però fuori da questo stop i fondi dedicati a settori considerati sensibili. In particolare, saranno mantenuti i 20 milioni di euro per la lotta all’antisemitismo e a favore del memoriale Yad Vashem, così come i 10,2 milioni destinati alla società civile. La commissaria al Mediterraneo, Dubravka Šuica, ha sottolineato che questi ambiti di finanziamento non verranno toccati.
Una partita aperta
Il pacchetto delineato dalla Commissione è dunque ampio e articolato, ma il suo destino è tutt’altro che scontato. Le divisioni tra gli Stati membri rischiano di renderlo inattuabile, soprattutto per quanto riguarda le misure commerciali e le sanzioni personali. Israele, dal canto suo, ha già fatto capire di essere pronto a reagire duramente.
Resta il dato politico: per la prima volta l’Unione Europea discute un intervento di questa portata nei confronti di Israele, segnale del crescente disagio a Bruxelles di fronte al deterioramento della situazione umanitaria a Gaza. Ma tra intenzioni e atti concreti la distanza appare ancora molto ampia.