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“Perché contare i femminicidi è un atto politico”: un libro per chiamare le cose con il loro nome

“Non parliamo di casi isolati, ma di un disequilibrio di potere radicato che i media spesso normalizzano senza accorgersene”

“Perché contare i femminicidi è un atto politico”: un libro per chiamare le cose con il loro nome

Contare i femminicidi non è solo una questione di numeri. È un gesto politico, un atto di resistenza e di responsabilità civile.

Questo è il cuore del nuovo libro di Donata Columbro, giornalista e divulgatrice esperta di dati, intitolato “Perché contare i femminicidi è un atto politico” (Feltrinelli), presentato durante la XX edizione del Festival La violenza illustrata.

“Perché contare i femminicidi è un atto politico”: un libro per chiamare le cose con il loro nome
La copertina del volume

L’iniziativa ha visto l’autrice dialogare con esperte del settore come Giulia Sudano di Period Think Tank, Anna Pramstrahler di Casa delle donne per non subire violenza APS e della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio (2013-2018), Giulia Bernagozzi dell’Anci Emilia Romagna e Gessica Allegni, Assessora Pari Opportunità della Regione Emilia-Romagna.

Il femminicidio come problema politico e sociale

Columbro parte da un dato allarmante: in Italia, ogni tre giorni una donna viene uccisa. Ma non è solo una questione statistica. In assenza di un registro ufficiale dei femminicidi, il modo in cui gli omicidi di donne vengono classificati spesso minimizza la violenza di genere. Chi decide cosa contare? E chi ha il potere di ignorare questi numeri? Il libro mostra come il conteggio dei femminicidi sia un atto politico, perché legato al potere e alla possibilità di influenzare l’opinione pubblica e le istituzioni.

Il termine stesso “femminicidio” è al centro della riflessione: nasce per dare un nome all’omicidio di una donna in quanto tale, riconoscendo il contesto di violenza strutturale in cui avviene. Columbro ricorda come l’ONU abbia definito criteri precisi per riconoscerlo, mentre in Italia il termine viene utilizzato con cautela nei documenti ufficiali, evidenziando una timidezza istituzionale che contribuisce a normalizzare il fenomeno. Nonostante poi il tema sia all’ordine del giorno in politica, con polemiche tra maggioranza e opposizione.

Non solo vittime: l’impatto su famiglie e sopravvissuti

Il libro non si limita ai casi di omicidio. Columbro evidenzia anche l’impatto sui sopravvissuti: gli orfani, le famiglie che diventano “secondi genitori” e chi deve fare i conti con vite completamente trasformate dalla perdita di una donna. Contare queste vite, sottolinea l’autrice, non è un esercizio statistico, ma un passo fondamentale verso la giustizia.

Allo stesso tempo, esistono ancora negazionisti del femminicidio, che cercano di relegare la violenza nel privato, evitando responsabilità politiche e sociali. Columbro sottolinea l’importanza di partire dall’applicazione reale delle leggi esistenti, in particolare quelle che prevedono la raccolta di dati completa e trasparente.

I dati come strumento di potere e consapevolezza

Uno dei messaggi principali del libro è che i dati non sono mai neutrali. Decidere cosa contare significa raccontare una storia invece di un’altra. La narrazione pubblica spesso minimizza la violenza: omicidi di donne anziane descritti come “gesti di pietà”, titoli giornalistici che parlano di “amore” o la retorica del raptus, tutti modi di nascondere la radice strutturale della violenza. Columbro spiega come il femminicidio non sia un caso isolato, ma il sintomo di un disequilibrio di potere radicato, spesso normalizzato dai media.

Il lavoro delle associazioni: contare per resistere

Nel libro, Columbro racconta anche il lavoro del Gruppo di ricerca sui femminicidi in Italia, coordinato da Casa delle donne per non subire violenza APS. Dal 2005, volontarie e socie raccolgono dati dai media sui femminicidi, costruendo una delle prime banche dati femministe in Italia.

Questo lavoro dimostra l’importanza di “chiamare le cose con il loro nome” e porre la violenza di genere come un fenomeno strutturale all’interno della società italiana.

Il femminicidio come punta dell’iceberg

Il libro sottolinea inoltre come il femminicidio sia solo la punta di un iceberg più ampio: sotto la superficie convivono altre forme di violenza, disuguaglianze e discriminazioni che plasmano la vita quotidiana delle donne e delle ragazze.

Illuminare i numeri, smascherare le narrazioni accomodanti e dare voce ai dati significa esercitare responsabilità civile, promuovere consapevolezza e intervenire politicamente.

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