Monza (MB)

Una vita spesa per la cura dei bambini, addio al dottor Flaùto

Fu il primo presidente di Abio Brianza e cambiò l’attenzione al neonato all'ospedale San Gerardo di Monza. Aveva 92 anni

Una vita spesa per la cura dei bambini, addio al dottor Flaùto

Una vita dedicata alla cura, con un’attenzione particolare ai più piccoli. Si è spento a 92 anni Umberto Flaùto, medico, professore e primario emerito di Patologia Neonatale all’Ospedale San Gerardo di Monza, figura di riferimento non solo sul piano professionale ma anche umano, capace di lasciare un segno profondo nella comunità e nel mondo del volontariato.

Impegno ospedaliero e non solo

Accanto a una lunga carriera ospedaliera, infatti Flaùto ha saputo tradurre in modo coerente e discreto il valore del servizio agli altri. Lions convinto, fu tra i fondatori del Lions Club Monza Corona Ferrea, realtà nella quale il suo impegno ha lasciato un segno duraturo e che ancora oggi vede attiva la moglie Giusy Perelli, anche lei socia. A ricordarlo, a nome del mondo lionistico, è l’amico Roberto Pessina: «Umberto era un Lions nel senso più autentico del termine, uno di quelli che non si limitano all’appartenenza, ma fanno del servizio uno stile di vita».

Il suo impegno si è tradotto in azioni concrete, spesso portate avanti in collaborazione con altre associazioni di volontariato, con un obiettivo chiaro: rendere l’ospedale un luogo di cura accogliente per i bambini e per le loro famiglie.
Flauto fu anche pioniere della Neonatologia italiana. Formatosi alla Clinica Mangiagalli negli anni Sessanta, fu tra coloro che contribuirono a introdurre anche nel nostro Paese una cura moderna del neonato, fondata sul rigore scientifico e sulla ricerca, in risposta alle grandi sfide poste dalla prematurità. Un percorso che lo portò poi a Monza, dove, chiamato all’Ospedale San Gerardo, diede vita al reparto di Patologia Neonatale, ponendo le basi della scuola neonatologica monzese.
Come ricorda chi gli è succeduto, con un piccolo gruppo di pediatri, contribuì a costituire il primo nucleo milanese dedicato alla cura del neonato, ispirandosi a una medicina nuova, capace di superare pratiche consolidate ma prive di evidenza scientifica. Al San Gerardo replicò l’esperienza e di fatto diede i natali alla Neonatologia, lasciando un’eredità professionale e umana che ancora oggi segna la sanità del territorio.

Il ricordo del suo successore

A ricordarlo con affetto è anche Paolo Tagliabue, che gli è succeduto come primario al San Gerardo e a cui di fatto Flauto passò il testimone: «Egli è stato per me un padre dal punto di vista professionale così come è stato padre della Neonatologia monzese. Ebbi molto da lui, imparai a conoscere e curare in maniera adeguata i neonati, conobbi l’amore per questa disciplina molto particolare a metà tra la pediatria e la terapia intensiva». Oltre agli insegnamenti professionali Tagliabue – davanti a una chiesa gremita per l’ultimo saluto – ha riepilogato quelli umani: «Possedeva grandi doti umane, in particolare la capacità di ascolto, l’apertura mentale che lo portava a favorire i giovani e le idee innovative, l’onestà e al contempo la compostezza e la fermezza».

Un ricordo intenso (cui si è unita anche Maria Luisa Ventura, direttore della Struttura complessa di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale):

Ai pionieri della Mangiagalli, tra cui Umberto Flaùto e a pochi altri ricercatori italiani deve essere fatta risalire la paternità della Neonatologia nella nostra nazione. Agli inizi degli Anni ‘70 il prof. Umberto Flaùto venne poi chiamato a dirigere il nuovo reparto di “Patologia Neonatale” dell’Ospedale San Gerardo, dove replicò l’esperienza milanese e di fatto diede i natali alla Neonatologia a Monza e in Brianza.
Molti ebbero da imparare da lui dal punto di vista clinico e organizzativo e con l’avvento dell’Università a Monza di fatto fondò una scuola di Neonatologia e si adoperò al fine che questa iniziativa si prolungasse nel tempo: e oggi la Scuola Neonatologica Monzese è un pilastro della Neonatologia Italiana.
Era sempre presente quando era necessario e delle sue doti tutti i suoi collaboratori possono dire di averne fatto tesoro e di essergliene grati. Così come grata deve essere tutta la popolazione di Monza e Brianza per il bene che ha fatto in favore dei suoi piccoli pazienti.

Il ricordo dei figli

Parole che si affiancano a quelle del figlio Matteo, che insieme alla sorella Silvia ha voluto sottolineare soprattutto la dimensione umana del padre. «La sua grande e rara qualità – ha scritto nel testo letto in chiesa durante i funerali – è che sapeva e voleva ascoltare. Papà era un riferimento, una figura su cui molti hanno potuto contare, anche solo per una frase di sostegno. E quando terminava di parlare con le persone concludeva spesso con un “mi faccia sapere, mi raccomando”, che non era mai una formalità».

Una disponibilità che andava ben oltre il ruolo professionale e che nasceva da una visione profonda del senso della vita, fondata sui valori e sull’aiuto reciproco. «È troppo facile aiutare gli altri quando ci si aspetta qualcosa in cambio», era una delle frasi che amava ripetere e che sintetizza il principio che ha guidato tutta la sua esistenza.

Questa visione ha trovato una delle sue espressioni più significative nell’impegno a favore dei bambini ricoverati: 41 anni fa Umberto Flauto fu il primo presidente di Abio, l’Associazione Bambino in Ospedale, nata con l’obiettivo di trasformare il «curare» in «prendersi cura», ponendo attenzione non solo alla malattia, ma anche ai bisogni emotivi dei piccoli pazienti e delle loro famiglie con l’organizzazione di momenti di svago e attività all’interno dell’ospedale.

Anche il mondo lionistico lo ha salutato con parole di profonda gratitudine. Nella preghiera letta dall’amico Roberto Pessina emerge l’immagine di «un grande Lions», esempio di amicizia, amore per il prossimo e servizio disinteressato, capace di rendere migliori anche coloro che hanno condiviso con lui un tratto di strada.

I funerali di Umberto Flauto si sono tenuti giovedì scorso a Vedano al Lambro, dove risiedeva con la moglie e sono stati partecipatissimi, a riprova del segno indelebile lasciato nella comunità brianzola.