Nessun piano per uccidere, ma l’obiettivo di rubare. Davanti alla Corte d’Assise di Busto ha preso, per ultimo, la parola il legale difensore di Michel Caglioni, Nicolò Vecchioni.
Omicidio Bossi, la difesa Caglioni: “Nessun piano per uccidere”
Perchè Michele Caglioni si trovava lì, a casa di Bossi? Parte da questa domanda la requisitoria dell’avvocato Nicolò Vecchioni, difensore di Michele Caglioni, co-imputato insieme a Douglas Carolo per l’omicidio di Andrea Bossi. La risposta, secondo Vecchioni, è nelle parole di Caglioni ai genitori, registrate dai microfoni della sala colloqui del carcere: “Quel giorno io lo sapevo. Non che stavamo andando a fare un omicidio”.
“Michele aveva un’idea che era quella di partecipare a commissione di un reato, ma non aveva alcuna idea di prendere parte a un’operazione che sarebbe esitata nella morte di qualcuno”, ha sostenuto Vecchioni. Che ha escluso l’esistenza del famigerato “piano” di sequestro, tortura e uccisione, alla base dell’ipotesi di premeditazione e della richiesta di condanna all’ergastolo:
“Per immobilizzare la vittima, per torturarlo, le armi che avrebbero dovuto utilizzare in quella violenza che avrebbe preceduto omicidio, non possono essere pretermesse dalla fase esecutiva. Se discutiamo di quel piano criminale, dobbiamo richiedere l’utilizzo di risorse materiali idonee a realizzarlo. E manca qualsiasi riscontro probatorio che supporti una simile ricostruzione. Michele quella sera nemmeno indossa i guanti, perchè non doveva svolgere alcun ruolo operativo in quella casa”.
Per la difesa, “è Carolo l’autore dell’omicidio. A meno di credere che la maggiore presenza di sangue sui suoi indumenti sia dovuta al tentativo di soccorso, versione ben poco realistica”.
Le minacce e il controllo di Douglas
Il rapporto tra i due sarebbe stato “sbilanciato” a favore di Carolo. Caglioni gli era sottomesso. Non un complice, ma una pedina. “Carne da cannone”.
“Immediatamente dopo il fatto, quando Michele era in evidente stato di shock, Douglas prima di lasciarlo andare gli dice ‘devi dire che questa cosa l’avevamo organizzata. Dovevamo andare a casa di Bossi, torturarlo, farci dire i numeri delle carte, poi portarlo in un campo e bruciarlo’ – ha ripercorso il legale – Senso autentico di quella frase non è ribadire un accordo pre-esistente fra due complici, ma l’opposto. Quella frase è un monito: questa cosa l’abbiamo fatta insieme, non puoi pensare di tirartene fuori. E’ un messaggio diretto e intimidatorio, il tentativo di attrarre Caglioni nell’orbita dell’omicidio, di fargli credere che non esiste via di fuga e che non ha possibilità di dissociarsi”.
“L’obiettivo di quella minaccia era evitare di far uscire la verità: che Douglas ha perso il controllo, ha ammazzato Bossi, lo ha fatto davanti a Michele e voleva evitare che Michele si trasformasse in un testimone scomodo. Non c’è bisogno di ricordare a un complice quello che ha già fatto, si minaccia chi ha paura che in futuro possa dissociarsi. Si cerca di controllare chi non era parte del progetto”.
“Michele era il soggetto da mandare in maniera del tutto imprudente, stupido dal punto di vista criminale, a prelevare con la carta di una vittima di omicidio sotto l’occhio della telecamera del bancomat il denaro dal conto corrente di una vittima di omicidio, lasciando una prova documentale del legame col fatto. Chi si presenta ai Compro oro lasciando propri documenti, carte identità date? Caglioni. Non perchè fosse un complice affidabile, ma perchè è un ragazzo manipolabile e perchè è una risorsa umana sacrificabile nella prospettiva di Carolo. E infatti tutti i proventi delle rivendite come arrivano sulle carte di Caglioni vengono versati su altri conti di terze persone, che li prelevano e consegnano interamente a Carolo”.
Le parole della ex
Anche Vecchioni si è soffermato sulla testimonianza e il racconto racconto della ex di Caglioni. Racconto “confuso, illogico e costellato di salti temporali, che confonde ciò che Michele le ha detto prima del fatto con quello che le ha detto dopo, quando già era sotto la pressione psicologica di Douglas”.
“Lei conosce la vicenda esclusivamente attraverso ciò che le racconta Michele. Il problema è che i racconti che le fa Caglioni non sono omogenei, ma a seconda del momento differiscono nel contenuto. C’è differenza tra ciò che Michele riferisce prima del fatto e cosa dopo – ha spiegato il legale – Nel racconto pre-omicidio, la scelta di eliminare Bossi è legata a un movente ben preciso: la vendetta. L’ipotesi del denaro, dell’oro, dei soldi emerge solo in un secondo momento.
Michele ci dice di averle confidato che Bossi aveva una grande disponibilità di denaro e preziosi, e di aver voluto accompagnare Douglas a casa sua con obiettivo di rubare. Sapeva del furto. Ma non condivide un progetto violento. E’ lei che confonde e associa le due cose, con il racconto che Caglioni le fa il giorno dopo, quando sente il bisogno di condividere quello che era successo, ma nei termini che potessero restare fedeli rispetto le richieste di Carolo”.
Per la difesa, è prima di tutto la logica a smentire che tutti fossero a conoscenza di un piano per uccidere: se così fosse, perchè lei è rimasta in contatto con lui tutta la sera, chiedendogli informazioni, tracciando la sua posizione?
“Altrimenti, quegli elementi avrebbero potuto essere interpretati dall’accusa come comportamenti di qualcuno che il piano lo condivide, e che attraverso quei contatti e quel tracciare i movimenti vuole rafforzare il proposito criminoso. Dovremmo ritenere che posizione della ragazza la avvicina pericolosamente alla soglia del concorso morale. Ma noi lo escludiamo”.
“Le sue dichiarazioni (di lei) pesano come un macigno. E’ un paradosso di questo processo: lei che non ha visto nulla, che non sa nulla se non quello che le ha riferito Michele, nonostante abbia posizione avvantaggiata di narratrice di questi fatti, si trova ad essere suo malgrado decisiva. Sua parola rischia di determinare conseguenze enormi.
Viene indicata da accusa come fonte di prova principale nella formulazione di un’accusa nei confronti di Michele, non solo ai fini della premeditazione, ma della sua responsabilità nell’omicidio. Le dichiarazioni meno attendibili di tutto questo fascicolo processuale, sono anche quelle che possono produrre gli effetti più devastanti”.
Chi è Michele Caglioni
Vecchioni si è concentrato sul profilo del suo assistito, quello tratteggiato dall’accusa e quello visto in aula:
“Nel modello accusatorio del Pm, lui è lucido, razionale, coordinato nell’agire con Carolo, capace di condividere un progetto omicidiario. Nella realtà dei fatti, non è nulla di tutto questo. E’ un ragazzo confuso e suggestionato, prevaricato da una personalità più forte e violenta. Quell’asimmetria è il reale filo conduttore dell’intera vicenda. Tutto converge in un’unica direzione: Michele non partecipa all’omicidio perchè non vuole la morte di Bossi, non può prevederla. Semplicemente non ha il controllo di ciò che accade all’interno di quella casa”.
La richiesta
A chiudere, le richieste alla Corte:
“Chiedo di assolvere Caglioni con la formula che riterrete più opportuna per l’omicidio di Andrea Bossi, e in subordine l’esclusione di tutte le aggravanti contestate e il riconoscimento della diminuente – ha concluso Vecchioni – E dichiarare la non punibilità per l’utilizzo indebito dei metodi di pagamenti e per la ricettazione, perchè avvenuto in stato di necessità (sotto la minaccia di Carolo, ndr) Michele ha ammesso di aver partecipato consapevolmente a quello che sapeva dover essere un furto. La giurisprudenza stabilisce che la commissione di un furto può degenerare in rapina, qualora il derubato si opponga a esecuzione del reato. E’ quello che è accaduto in questo caso. La violenza è stata iniziativa unilaterale di Douglas, il dolo di Michele si ferma alla commissione di un furto. La rapina è un evento diverso, più grave. E’ corretto ritenerlo responsabile di rapina, ma altrettanto corretto riconoscergli l’attenuante del concorso anomalo.
Qualora riterrete comunque che Douglas abbia pianificato qualcosa, non ci sono le condizioni per ritenere di estenderne la responsabilità a Carolo. La premeditazione dev’essere esclusa, quantomeno nei confronti del mio assistito.
Avete la possibilità di far sì che questo ragazzo su base di un presupposto probatorio incerto e di responsabilità che esistono, ma sono di rango inferiore rispetto a quanto ritenuto da pubblica accusa, di evitare che Michele Caglioni debba affrontare una vita in carcere, il resto della sua vita in carcere. Una pena che da più pulpiti viene indicata come incostituzionale”.
Chieste anche le attenuanti:
“Michele ha espresso risentimento. Le scuse sono state private, rivolte personalmente alle vittime di questi gravissimi fatti, i genitori di Bossi, e sono state anche rese pubbliche da Caglioni che ha voluto fare pubblica ammenda. Ha voluto esprimere il modo cordoglio, e lo ha fatto nel migliore dei modi. Un indice di responsabilizzazione.
C’è una oggettiva marginalità del ruolo di Caglioni, anche se vorrete aderire all’impostazione del Pubblico Ministero. Non è artefice di nulla, è un gregario.
E’ incensurato. Si è prestato all’esame in aula, ha risposto alla Corte, pur in condizioni psicofisiche precarie avendo subito diversi ricoveri. Ha vissuto momenti di dissociazione in carcere. E’ stato ricoverato diversi giorni durante questo processo, quello che ha fatto qui quel pomeriggio è stata un’impresa titanica nelle sue condizioni. Lo ha fatto senza atteggiamenti di sfida o arroganti.
Questi elementi depongono in modo univoco per la concessione delle attenuanti generiche”.
La sentenza il 16 dicembre.