Un raid compiuto non da professionisti ma di chi sapeva maneggiare un ordigno, seppure rudimentale, potenzialmente letale. Una intimidazione forse studiata da tempo e messa in atto da chi conosceva le strade del quartiere e le possibili vie di fuga. Muove i primi passi l’indagine dei magistrati dell’Antimafia di Roma per l’attentato al giornalista Sigfrido Ranucci le cui due automobili sono state semidistrutte giovedì sera da una bomba carta ‘potenziata’ e lasciata all’esterno della sua villetta a Pomezia, centro alle porte della Capitale.
I carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati a cui sono state delegate le verifiche stanno incominciando a perimetrare l’attività investigativa alla luce degli elementi raccolti in queste ore e basandosi anche sugli elementi forniti dallo stesso conduttore di Report nel corso delle audizioni in caserma e Procura durate alcune ore. Ranucci ha delineato con gli inquirenti quattro o cinque tracce definite “importanti” e che “riconducono sempre agli stessi ambiti”. Elementi legati alle minacce ricevute in passato per le inchieste mandate in onda dalla trasmissione di Rai Tre. Con chi indaga, Rannucci, però, non ha neanche escluso che quanto avvenuto possa essere una sorta di avvertimento, una intimidazione preventiva, per servizi ancora non trasmessi. “Nelle prossime puntate torneremo a parlare della stragi di mafia, delle infiltrazione dei clan negli appalti – ha rivelato Ranucci lasciando gli uffici della procura venerdì- L’ordigno potrebbe essere un avvertimento per qualche inchiesta futura che però si riallaccia a cose fatta da noi nel passato”.
Tra i contesti tracciati davanti al procuratore capo Francesco Lo Voi e al sostituto Carlo Villani anche quello legato agli ambienti dell’estrema destra, la commistione tra la criminalità locale e le frange estreme del tifo ultras. Gli inquirenti, comunque, attendono risposte anche dall’analisi dei reperti dell’ordigno, circa un chilogrammo di polvere pirica pressata, su cui sono al lavoro gli specialisti del Ris. La bomba potrebbe contenere la ‘firma’ dell’autore o degli autori. Con ogni probabilità ci troviamo in presenza di soggetti ‘autoctoni’ che hanno operato conoscendo gli spostamenti e i tragitti di Ranucci, che mancava da casa da alcuni giorni e questo avvalora la tesi che possa essere stato pedinato. Prioritario, in questo ambito, risalire all’identità dell’uomo incappucciato che un testimone ha raccontato di avere visto poco prima della deflagrazione. Il soggetto, vestito completamente di nero, si sarebbe allontanato in direzione di un prato forse in direzione di un’auto che lo attendeva. Una ricostruzione tutta da verificare così come l’eventuale connessione con la vicenda di un’altra auto, una 500, trovata a poca distanza dalla villetta e risultata rubata. Anche su questo i Ris sono al lavoro nella speranza di trovare elementi utili alle indagini.
Alcuni testimoni hanno raccontato che già nelle scorse settimane nella zona erano stati esplosi petardi ma quanto avvenuto alle 22.17 di giovedì rappresenta, come detto dallo stesso Ranucci, un vero e proprio “salto di qualità” con una bomba lasciata con la miccia accesa tra due vasi, a circa 20 metri dalla casa del conduttore. Intanto proseguono gli attestati di solidarietà e vicinanza al cronista. Circa 400 persone, appartenenti anche a sigle sindacali o organizzazioni di categoria, hanno preso parte ad un sit-in all’estero della villetta teatro dell’attentato. “La tensione c’è, sicuramente, ma c’è anche la soddisfazione – commenta Ranucci – per le incredibili testimonianze di affetto e solidarietà che continuano ad arrivare”