La ’ndrangheta è ancora tra noi
L’operazione «Millennium» dei Carabinieri di Reggio conferma i legami strettissimi tra le cosche calabresi e di Chivasso

Quattordici anni fa, prima dell’operazione «Minotauro», nessuno avrebbe anche solo immaginato che le pagine di cronaca locale avrebbero ospitato, quasi ogni settimana, la parola ’ndrangheta.
Si pensava ad un mondo lontano, a «cose loro», ad ambienti lontanissimi dal «nostro» modo di vivere.
La ’ndrangheta è ancora tra noi
Invece, dal 2011 ad oggi, le decine e decine di arresti collegati ad altrettante operazioni di Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza hanno svelato una fittissima ragnatela tessuta con legami di sangue e non, contatti che nemmeno le manette, il carcere, i processi, le sentenze, sono riusciti a spezzare.
Operazione Millennium

E così, in una tranquilla alba di fine maggio, accade che i Carabinieri di Reggio Calabria, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia, stringendo tra le mani le carte dell’operazione «Millennium» abbiano bussato alla porta di Geremia Orlando Barbuto, nato a Siderno nel 1979, residente nella Locride ma domiciliato di fatto con la famiglia a Chivasso, in via Pertini, dopo una breve parentesi a Montanaro.
Una vita da fantasma in un alloggio di 50 metri quadrati, senza nome sul citofono, dove secondo i vicini di casa risiedevano anche altre persone oltre agli stretti parenti. Chi? Bella domanda.
Domanda che si aggiunge a quella sul «perché» Geremia Orlando Barbuto, il cui nome si ripete da anni negli articoli di giornale, abbia scelto proprio Chivasso, chi l’abbia aiutato, chi gli abbia messo a disposizione, appunto, quella «rete» che attraversa l’intera penisola.
Non è la prima volta
E’ innegabile che in questi anni si siano verificati molti altri episodi simili, con personaggi di media e alta caratura criminale che come dal nulla sono arrivati all’ombra della Torre Ottagonale per poi sparire in qualche carcere o finire direttamente in una bara o nell’elenco delle «lupare bianche».
Una regia occulta
C’è una regia in tutto questo? Chivasso è davvero considerato un «porto sicuro» della criminalità organizzata in cui sparire per qualche tempo in attesa che si calmino acque agitate altrove?
Stando alle carte, Barbuto sarebbe infatti sì accusato di associazione di tipo mafioso (il noto 416bis) con riferimento alla cosca Barbaro (suddivisa in vari rami famigliari e operante in Platì, Ardore, Portigliola, Volpiano, Buccinasco ed in zone limitrofe), mentre scendendo nei reati specifici si trova un episodio di spaccio di hashish nel Reggino e l’accusa di aver costituito uno stabile canale di vendita di sostanze stupefacenti nelle piazze dello spaccio di Roma (Tor Bella Monaca) e di Messina. Nella migliore delle ipotesi, a 698 chilometri e sette ore e mezza di auto da Chivasso.
Considerato «stretto collaboratore» di Giuseppe Barbaro, Geremia Orlando Barbuto lo avrebbe anche aiutato in estorsioni ai danni di imprese, «procurandosi le informazioni sugli appalti», «individuando gli imprenditori da sottoporre a estorsione», «mantenendo i contatti con le vittime», programmando gravi azioni ritorsive in loro danno» e «mantenendo i rapporti con gli esponenti delle cosche limitrofe».
E, sempre secondo le carte, si sarebbe anche occupato (non in Piemonte) di «orientare le competizioni elettorali in favore dello schieramento politico loro vicino in cambio di denaro».
Ripetiamo ancora una volta: ma che ci faceva un personaggio del genere a Chivasso? Chi lo ha aiutato? Quanti altri come lui non sono stati ancora scoperti?
Nelle 3585 pagine dell’ordinanza non ci sono riferimenti a Chivasso, segno che, come detto, in quella palazzina di via Pertini Geremia Orlando Barbuto ci era arrivato molto probabilmente per «cambiare aria».
Il problema è proprio questo: Chivasso non ha bisogno di questi nuovi residenti e deve fare di tutto per rendere la loro permanenza il più «sgradita» possibile.