Romano di Lombardia (BG)

Il papà di Yana Malaiko scrive una lettera alla mamma di Pamela Genini: «Non devono morire altre figlie»

La 23enne, il cui corpo era stato trovato a Romano, era stata picchiata, uccisa e nascosta in un trolley dall'ex fidanzato

Il papà di Yana Malaiko scrive una lettera alla mamma di Pamela Genini: «Non devono morire altre figlie»

Sopra: il padre di Yana, Oleksandr Malaiko, e l’avvocato della famiglia della giovane, Angelo Lino Murtas

Una lettera da Oleksandr Malaiko, papà di Yana, uccisa a Romano nel 2023 dal suo ex fidanzato, a Una Smirnova, mamma di Pamela Genini, la 29enne brutalmente accoltellata dieci giorni fa a Milano. Due genitori che non si conoscono, uniti però dalla stessa ferita: la perdita di una figlia per colpa di un amore sbagliato.

Gianluca Soncin e Pamela Genini

Yana 

Oleksandr, ucraino, aveva cresciuto sua figlia insieme alla nonna, lontano dalla sofferenza della guerra.  Ma la violenza trovò comunque il modo di raggiungerla: Yana fu picchiata, soffocata e poi nascosta in un trolley dal compagno Dumitru Stratan.

Yana e l’ex fidanzato

Ora, un anno dopo, scrive alla mamma russa di Pamela: una lettera pubblica, affidata al Corriere Bergamo che oggi (venerdì 24 ottobre) pubblica, scritta mentre si trovava a Roma con il suo avvocato e altri genitori di vittime, per chiedere leggi più dure contro chi uccide le donne.

La lettera a Una 

Cara Una,
ti scrivo con il cuore trafitto ma ancora capace di sentire, perché il dolore che porto dentro è lo stesso che ora vive in te. Le nostre figlie, Yana e Pamela, sono state strappate alla vita da uomini che non hanno accettato la libertà, la dignità e il diritto di scegliere. Due vite giovani, luminose, spezzate dalla violenza di chi voleva possederle. Chi non ha vissuto un orrore così non può comprendere fino in fondo cosa significhi respirare ogni giorno con un’assenza che brucia. È un dolore che non si può raccontare con le parole giuste, perché nessuna lingua è abbastanza grande da contenerlo.

Yana era il mio sole, la mia forza e la mia gioia. È stata attirata con l’inganno da chi diceva di amarla, picchiata, uccisa e abbandonata come un rifiuto, chiusa in un trolley e buttata via. Pamela, la tua amatissima Pamela, è stata pugnalata a Milano dall’ex fidanzato che non accettava la fine della loro storia. Davanti a tutto questo, l’anima si lacera. Eppure siamo ancora qui. Non perché il dolore passi. Non perché si dimentichi. Ma perché qualcosa dentro di noi rifiuta il silenzio. Io sento il bisogno profondo di parlarti così, con questa sincerità nuda, perché so che le nostre voci, insieme, hanno un senso che va oltre la sofferenza. Quello che abbiamo perso non tornerà più, ma ciò che possiamo fare adesso appartiene ancora al mondo dei vivi, e forse può salvare qualcuno. Sento che abbiamo un compito: impedire che altre figlie vengano spente, che altre famiglie vengano distrutte, che altre vite finiscano nell’indifferenza. Il silenzio è complice. L’indifferenza è un veleno lento che lascia agire il male indisturbato.

Yana Malaiko

Dobbiamo parlare, farci vedere, denunciare, pretendere che le istituzioni ascoltino, che le leggi proteggano davvero, che i media non spengano i riflettori quando la notizia smette di fare rumore. Non per vendetta, ma per giustizia. Non per riaprire ferite, ma per impedire che se ne aprano altre.
Se mia figlia mi avesse detto anche solo mezza parola, o se qualcuno vicino a lei avesse trovato il coraggio di parlare, forse sarebbe ancora viva. Questa frase mi abita dentro tutti i giorni. Per questo grido che il silenzio uccide più lentamente ma con la stessa ferocia.

Una, lo sai anche tu: tanti non parlano per paura, per vergogna, per sfiducia. Ma chi tace consegna spazio a chi fa del male. E allora io voglio che si dica, che si insegni, che si ascolti, che si denunci. Voglio che nessuna giovane donna sia lasciata sola davanti alla violenza, che nessuna famiglia debba piangere ciò che noi piangiamo ogni istante.

Ci sono ancora persone buone in questo mondo, persone che possono tendere la mano, sostenere, proteggere, accogliere. Dobbiamo aiutarle a farsi trovare, a farsi sentire, a non essere isolate. E dobbiamo far capire che non siamo fantasmi, né simboli: siamo esseri umani che hanno visto l’abisso e che, con ciò che resta, tentano di costruire qualcosa che valga la pena.

Io non mi arrenderò. Non smetterò di lottare, di parlare, di chiedere giustizia con rispetto ma con fermezza. E so che tu, con la forza che nasce dall’amore per tua figlia, farai lo stesso. Non è una scelta: è una responsabilità, un dovere verso chi non c’è più e verso chi può ancora essere salvato. Un giorno forse capiremo perché siamo ancora in piedi. O forse non lo capiremo mai, ma continueremo lo stesso. Per Yana. Per Pamela. Per tutte le figlie. Per chi resta. Per chi ha ancora tempo.