Verona (VR)

Come mai Turetta è stato trasferito in una sezione meno sicura dove poi è stato aggredito

I legali di Turetta avevano già lanciato l'allarme: il fatto si sarebbe potuto evitare, se non ci fosse stato il problema del sovraffollamento. Giovanni Vona, segretario regionale Sappe Triveneto, ci spiega come funzionano collocamenti e trasferimenti di detenuti

Come mai Turetta è stato trasferito in una sezione meno sicura dove poi è stato aggredito

Filippo Turetta, condannato in primo grado per il femminicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin, è stato aggredito a fine agosto nel carcere di Montorio di Verona da un altro detenuto. La notizia diffusa nelle ultime ore ha fatto subito il giro delle cronache nazionali, ma sulla vicenda una domanda sorge spontanea: come mai è stato trasferito in una sezione meno sicura rispetto a quella dove si trovava inizialmente? Una risposta ci è stata data da Giovanni Vona, segretario regionale del SAPPE Triveneto, che abbiamo contattato telefonicamente.

Turetta, perché il trasferimento in una sezione meno sicura

“Il collocamento di un detenuto in una sezione piuttosto che in un’altra dipende da diversi fattori, ma soprattutto da una decisione collettiva dello staff che gestisce una determinata casa circondariale – esordisce Giovanni Vona – In ogni caso, per legge, la circostanza dell’isolamento dipende dalla natura del reato che il detenuto ha commesso.

La fattispecie di reati violenti o molto gravi, come ad esempio la pedofilia, di base comportano il collocamento in una sezione isolata. Per l’omicidio, in questo caso femminicidio, non è previsto l’isolamento, a meno che non sia il detenuto stesso a richiederlo perché teme per le sua incolumità”.

Come riferito da L’Arena, inizialmente Turetta era stato collocato nella terza sezione del carcere di Montorio, quella dei reati di genere, maggiormente “protetta”, ma poi è stato trasferito nella quarta sezione, quella dei reclusi comuni, dove si è verificata l’aggressione da parte del detenuto 55enne.

“Questo trasferimento di sezione deve essere dipeso da una scelta interna dello staff della casa circondariale – ha aggiunto Giovanni Vona -, ma solitamente succede che un detenuto, fino a che non arriva la sentenza di primo grado, venga fatto stare in un’area più protetta, venendo poi, una volta che si stabilisce il tipo di reato che ha commesso, collocato nella sezione specifica per ciò che ha fatto. A quel punto inizia il trattamento penitenziario che il detenuto dovrà seguire”.

Il collocamento in una sezione “protetta” o in isolamento, comunque, può essere anche richiesto dallo stesso detenuto.

L’isolamento puro deve essere giudicato e dipende da diversi fattori: motivi processuali o un tentativo di suicidio, ma anche il detenuto stesso può farne dichiarazione. Se quest’ultimo teme per la sua incolumità, allora può farlo presente e da lì si capirà dove andarlo a collocare per tenerlo al sicuro”.

Anche in caso di aggressione, il detenuto può fare richiesta di cambiare cella o sezione carceraria:

“Si devono capire i motivi della richiesta, partendo dalle dichiarazioni dell’interessato – ha concluso Vona – Se ci sono strascichi di questa situazione di violenza, allora si applicano le tutele dovute e si scelgono dei circuiti a parte”.

Tornando al caso di Turetta, il detenuto 55enne che lo ha aggredito (condannato per omicidio e tentato omicidio) è stato punito con 15 giorni di isolamento. Dopo il trasferimento dalla terza alla quarta sezione, i legali di Turetta avevano lanciato un’allarme, segnalando il rischio concreto di aggressioni e chiedendo che il loro assistito fosse riportato nella sezione protetta.

Una richiesta che la direzione non avrebbe potuto accogliere a causa del sovraffollamento: le celle della terza sezione, 25 da due posti, sono infatti occupate da tre persone ciascuna. I suoi avvocati temono che episodi di ostilità e violenza nei suoi confronti possano intensificarsi, data la gravità del crimine commesso e l’atteggiamento di molti detenuti verso chi si macchia di questo tipo di reati.

Gino Cecchettin, papà di Giulia, sull’aggressione in carcere a Turetta ha commentato:

Non penso che la violenza sia la risposta ed è il messaggio che vorrei dare: non mi fa sentire felice il fatto che Turetta sia stato aggredito, perché ancora una volta vuol dire che dobbiamo lavorare”.