Una storia come se ne sono sentite e lette diverse, negli ultimi anni. Non certo quindi una novità, quella delle difficoltà per i pazienti (molto pazienti) che si recano nei pronto soccorso degli ospedali bergamaschi, attendendo molto spesso ore e ore prima di essere visitati. A destare forse più scalpore, in quest’occasione, è il fatto che il post di lamentela su Facebook, pubblicato domenica 16 novembre scorso, è quello della figlia di un ex medico dei Riuniti di Bergamo.
Un dottore che ci ha lavorato per una vita, prestando servizio sia al pronto soccorso, che nel reparto di Chirurgia III. Un professionista che poi è andato in pensione. Adesso ha ottant’anni e, per una volta che ha avuto bisogno lui del pronto soccorso, in quanto si sentiva poco bene, pare non sia andata proprio alla grande in quello del Papa Giovanni.
Una lunga attesa
«Quando passare da medico a paziente diventa una pessima esperienza – ha esordito la donna sui social, raccontando cos’è successo -. Fortunatamente mio papà gode di buona salute e si è trovato in rare occasioni dall’altra parte della barricata. Ogni volta che è capitato, ha avuto parole di elogio nei confronti di tutto il personale: dai colleghi medici (eh sì, perché si resta medici sempre, anche dopo quasi vent’anni che si è andati in pensione) agli infermieri. Stamattina (domenica, ndr) è andata meno bene, purtroppo».
Da quanto ha riportato, alle 8 ha portato il genitore, su richiesta di quest’ultimo, in pronto soccorso: era la prima volta per lui. Accolto al triage con dolori e una situazione di sofferenza evidente, hanno detto loro che non avrebbe dovuto attendere molto. «Passa un’ora, ne passano due, poi tre. I monitor che indicano le liste d’attesa non funzionano: sono fermi al 12 novembre. Alle 11.30 chiedo gentilmente informazioni: l’infermiera del triage mi riferisce che saremmo stati chiamati a breve, perché papà ora era il primo in lista d’attesa».
Si è arrivati però alle 12.30 e la figlia chiede a un altro infermiere perché il padre, lasciato su una carrozzina da quattro ore, era appunto dolorante e piuttosto provato dalla lunga attesa. Tuttavia, ha ricevuto la stessa identica risposta dell’ora prima. «Con la differenza che, nel frattempo, eravamo stati “scavalcati” da tanti altri pazienti. Sia chiaro: mio padre non era assolutamente in pericolo di vita, ma stava certamente meno bene di un un ragazzino che si era preso una storta e che, inspiegabilmente, si recava in sala visite senza nemmeno un minuto d’attesa».
La rinuncia a farsi visitare
Alle 13.30, a uguale domanda si riceve uguale risposta: «A quel punto mio padre (sempre sulla sedia a rotelle) chiede, cortesemente ma in modo deciso, quali fossero le modalità di gestione delle liste d’attesa perché, stando a quello a cui stava assistendo da cinque ore, non gli risultavano affatto chiare. Essendo lui del mestiere, questa gestione gli era incomprensibile. Ovviamente nessuna risposta da parte dell’infermiere. Alla fine, nonostante la mia iniziale ritrosia a riportarlo a casa senza essere visitato, papà mi chiede di andarcene».
Da quel che si è capito, l’esperienza non è stata particolarmente brillante. Grave, meno grave di altri? Poteva anche rimanere a casa senza essere visitato? Non doveva recarsi in pronto soccorso? A noi gente comune non è dato saperlo o fare supposizioni, certo è che se un medico in pensione ritiene di aver bisogno di andare lì, un motivo forse ci sarà.
«Quasi sei ore – sei ore! – per non avere ricevuto nessuna assistenza. Viviamo in una società composta ormai da tantissimi anziani, eppure li trattiamo ancora da cittadini di serie B, quasi come se fossero un peso – ha concluso la donna -. Il loro dolore, qualunque esso sia, non deve essere sottovalutato soltanto perché “tanto sono vecchi”. Non è giusto. Ogni persona gode di uguale dignità, specialmente davanti alla sofferenza. Questo me l’ha insegnato mio padre, ottant’anni, medico di pronto soccorso e oggi, sfortunatamente, paziente».