Luciano Ravasio: «Il dialetto bergamasco muore, ma non ne faccio una tragedia»
Un artista che ha riscoperto e nobilitato il “Made in Bergamo” fino a farlo parlare ai Beatles e a Dylan, «chansonnier» poetico e raffinato interprete
di Bruno Silini
L’ultimo lavoro di Luciano Ravasio è un tributo a Bob Dylan, di un anno fa, che sta portando in giro qua e là in Bergamasca (l’ultima performance al Druso di Ranica).
Nasce da un’idea di Fausto Scaravaggi (in arte Dr Faust) che si è impuntato di tradurre in bergamasco le canzoni del cantautore americano, premio Nobel per la Letteratura nel 2016. Ne sono usciti dei brani godibilissimi, come Prope come ü plòch da Like a Rolling Stone, oppure L’è mia gnamò fosch da Not Dark Yet.
Una sfida riuscita?
«Non lo volevo neanche fare, ma Scaravaggi ha continuato a rompere le scatole. Alla fine ne è uscito un bel prodotto. L’abbiamo presentato all’Oasi di Terno d’Isola. Mi hanno accompagnato nell’avventura Tista Rota alla batteria, Franco Fanizzi alla chitarra e mio figlio Gabriele. Dylan non è facile da rendere in bergamasco. È un cantautore arduo da capire per chiunque. Ci ho lavorato con cura, approcciando il suo repertorio con rispetto, cercando di non tradire il contenuto delle sue canzoni (una ventina in tutto), magari sovrapponendo situazioni e protagonisti al contesto di casa nostra».
Un esempio?
«La canzone John Wesley Harding racconta la storia di un bandito texano che andava benissimo per il nostro Pacì Paciana. Un accostamento perfetto. Infatti, Dylan comincia con: “John Wesley Harding was a friend to the poor” (John Wesley Harding era un amico dei poveri, ndr). Con me diventa: “Ol Pacì Paciana, l’éra amìs di poarècc”. Certamente in brani un po’ più astratti o surreali, come Mr. Tambourine, la resa in un dialetto concreto come il nostro diventa difficile».
Il nostro dialetto è destinato a perdersi?
«A lungo andare, tra qualche anno, il bergamasco resisterà solo in valle e più come un intercalare dell’italiano. Ma francamente non ne faccio neanche una tragedia».
E portarlo nelle scuole come materia d’insegnamento?
«Prima di tutto ci vorrebbero insegnanti madrelingua, che sono nati masticando bergamasco. Ci vorrebbero, poi, grammatiche specifiche e libri di lettura, come succede in Svizzera con il ladino. Ma è un modello difficile da imitare. Potrebbero resistere iniziative di ricerca locale dove giocoforza i termini bergamaschi, per esempio legati a un’attività lavorativa, salterebbero fuori. Ma diventa, come dire, un po' un discorso di logica museale, non di trasmissione di una lingua» (...)