Una settantina di studenti dell’Università Statale di Milano sono stati ospiti della Casa della carità, nell’ambito del progetto “Cento lezioni per la pace”. Quella di ieri, mercoledì 29 ottobre 2025, è stata una mattinata intensa che è servita ai ragazzi come momento di riflessione sui temi della migrazione e dei conflitti. È stata anche un’occasione per capire l’impegno degli operatori e dei volontari che ogni giorno garantiscono l’attività della struttura di via San Nicolò che opera per dare accoglienza, aiuto e formazione alle persone in difficoltà. Perché se l’accoglienza e l’aiuto sono immediatamente visibili e conosciuti, non va dimenticata l’azione pedagogica degli operatori e dei volontari che – insieme alle persone assistite – cercano di costruire un percorso che offra nuova opportunità di vita a chi spesso si è smarrito.
Gli studenti della Statale alla Casa della carità. Al centro dell’incontro la testimonianza di Jean Jacques
Studenti e docenti dell’ateneo sono stati accolti da Luciano Gualzetti che ha presentato i servizi della Casa della carità. La struttura di via San Nicolò ospita la mensa che in un
anno distribuisce quasi 12.500 pasti, cui si affiancano il rifugio notturno con più di 800
pernottamenti annui e quello delle docce. Inoltre, per cercare di venire incontro alle
necessità economiche di tante famiglie tre anni fa è nato l’emporio della solidarietà che
offre beni alimentari e di prima necessità a più di 4700 persone. Altra forma di supporto
viene dal servizio guardaroba che distribuisce indumenti.
La testimonianza di Jean Jacques
Gli studenti hanno assistito alla proiezione del documentario “Ad ogni costo” del regista
Jurij Razza. Il film raccoglie le testimonianze di un gruppo di migranti che, su uno sfondo nero e nella loro lingua (con sottotitoli in italiano) ripercorrono i cammini di vita e di viaggio che dall’Africa li hanno portati fino a Lecco. E Jean Jacques, un operatore e mediatore culturale della Casa della carità, ha raccontato di persona le sue vicissitudini, cominciate quando per motivi politico-religiosi, ha dovuto lasciare la natia Gambia, dove era stato incarcerato. Fuggito dalla prigione grazie all’aiuto di alcuni amici, Jean Jacque ha deciso di emigrare.
La sua non è stata una scelta, ma una necessità per sfuggire ai persecutori che non gli
davano tregua. Si è così avventurato nella traversata del deserto, tra pericoli di ogni
genere e sofferenze. È arrivato in Libia, dove è stato catturato da una delle tribù che
spadroneggiano nel paese, e ridotto in schiavitù. Trattato come una merce è stato
comperato da una signora ed è entrato al suo servizio. Pur non subendo particolari
vessazioni, come è comprensibile, Jean Jacque ha fatto di tutto per ritrovare la libertà.
C’è riuscito e al prezzo di notevoli sacrifici anche economici si è imbarcato per tentare la
traversata del Mediterraneo. Gli è andata bene: è sbarcato a Messina. E, superando mille
difficoltà, ha risalito la penisola e per caso è arrivato a Lecco. Per lunghe settimane, ha
trovato rifugio sotto le arcate del Ponte Vecchio, fino a quando si è rivolto alla Caritas. È
stato assistito, ma soprattutto è stato aiutato a ritrovare la fiducia in sé stesso e a
rimettersi in gioco. Giorno dopo giorno, Jean Jacque si è ripreso fino a diventare un
operatore della Casa della carità e un mediatore culturale. Ora è lui che assiste tante
persone che si sono perdute e hanno bisogno di qualcuno che le aiuti a ritrovarsi.
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