Un ordigno rudimentale con un chilo di esplosivo, lasciato tra due vasi con la miccia accesa a pochi metri dall’abitazione. Una deflagrazione potente che ha semidistrutto le due auto del giornalista d’inchiesta Sigfrido Ranucci, conduttore della trasmissione della Rai ‘Report’ e già da tempo sotto scorta. Teatro dell’attentato, che solo per un caso fortuito non ha provocato vittime, la villetta a Pomezia, cittadina alle porte di Roma, dove vive con la famiglia. Un atto intimidatorio potenzialmente letale che ha preso di mira uno dei giornalisti simbolo dell’informazione del servizio pubblico, autore di inchieste ‘scomode’ su illeciti e corruzione nella pubblica amministrazione, sulla criminalità organizzata, sulle frange estreme della galassia ultras, sulle infiltrazioni dei clan negli appalti.
Delle indagini si occupano i pm della Direzione distrettuale antimafia o ora il primo obiettivo di chi indaga è quello di accertare la matrice dell’attentato, risalire agli autori materiali e agli eventuali mandati. Il fascicolo al momento è stato aperto per danneggiamento aggravato e violazione della legge sulle armi, ed è sul tavolo del pm Carlo Villani e dell’aggiunto Ilaria Calò, coordinati dal procuratore Francesco Lo Voi. Proprio quest’ultimo ha assicurato il massimo impegno dell’ufficio, augurandosi che “non si torni ai tempi bui degli attacchi ai rappresentanti della stampa”.
Le verifiche sono affidate ai carabinieri che per tutta la notte e nelle prime ore della mattina hanno raccolto il racconto di Ranucci. Il giornalista ha fornito una serie di elementi anche ai magistrati di piazzale Clodio, che lo hanno ascoltato per due ore nel pomeriggio. “Abbiamo delineato con i magistrati un contesto – ha detto lasciando gli uffici giudiziari -. Ci sono quattro-cinque tracce importanti che però per coincidenza alla fine riconducono sempre agli stessi ambiti. Sono cose molto complesse da provare”. Tra le piste, oltre a quella della malavita organizzata, anche quella che riconduce agli ultras.
Secondo le primissime evidenze investigative, l’ordigno era composto da circa un chilogrammo di materiale esplosivo pressato. La bomba non aveva timer o congegni di attivazione a distanza: l’autore, o gli autori, dunque, l’hanno lasciata all’esterno dell’abitazione pochi minuti prima della deflagrazione, avvenuta circa 20 minuti dopo il rientro a casa in auto della figlia del cronista. Probabile che chi ha compiuto l’attentato conoscesse gli spostamenti e i tragitti di Ranucci.
Fondamentale sarà l’analisi dei residui dell’ordigno, non una ‘semplice’ bomba carta. E gli inquirenti sperano di ottenere risposte anche dall’analisi delle telecamere presenti nella zona, anche se la più vicina dista oltre 50 metri dalla villetta. I video potrebbero avere carpito movimenti sospetti già ore prima. Un testimone, ascoltato dagli inquirenti, afferma di avere visto un uomo incappucciato a poca distanza dalla villetta.