Internazionale

Ancora spari dall’esercito di Israele contro i militari Unifil in Libano

Intanto a Gaza nubifragi e allagamenti mettono a dura prova le migliaia di sfollati

Ancora spari dall’esercito di Israele contro i militari Unifil in Libano

L’esercito israeliano ha nuovamente aperto il fuoco contro una pattuglia dell’Unifil nel sud del Libano, lungo la Linea Blu. L’episodio, confermato dalle Nazioni Unite, è avvenuto ieri – mercoledì 1o dicembre 2025 – nei pressi della località di Sarda, in territorio libanese.

Secondo la ricostruzione diffusa dalla missione Onu, un carro armato Merkava delle Forze di Difesa Israeliane (Idf) ha sparato una prima raffica di dieci colpi di mitragliatrice sopra un convoglio di caschi blu impegnato in un pattugliamento regolarmente programmato, seguita da altre quattro raffiche da dieci colpi ciascuna esplose nelle vicinanze dei veicoli.

Nessun ferito ma non è il primo episodio

Nonostante la gravità dell’accaduto, nessun militare dell’Unifil è rimasto ferito. Fonti informate riferiscono che tra i peacekeeper coinvolti figurano membri dei contingenti francese e finlandese della Force Commander Reserve, mentre non risultano italiani presenti. La missione dell’Onu ha reso noto che l’esercito israeliano era stato informato in anticipo della posizione e degli orari del pattugliamento, come da prassi, e ha definito l’attacco “una grave violazione della risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza”. Immediata l’attivazione dei canali di collegamento con l’Idf per chiedere la cessazione del fuoco.

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UNIFIL

Non è il primo episodio di questo tipo: il 16 novembre scorso, un altro convoglio Unifil era stato preso di mira da colpi israeliani, poi giustificati da Tel Aviv come un incidente “dovuto al maltempo”. A settembre, granate israeliane avevano sfiorato i caschi blu, mentre il 27 ottobre era stato lo Stato israeliano ad accusare l’Onu di aver abbattuto un drone.

Gaza sotto l’acqua: campi allagati, bambini senza ripari e aiuti insufficienti

Mentre lungo il confine libanese le tensioni militari continuano a crescere, nella Striscia di Gaza l’arrivo di violente tempeste sta aggravando una situazione umanitaria già al limite. Forti piogge e venti della tempesta Byronhanno provocato l’allagamento di migliaia di tende nei campi di sfollati, con famiglie costrette a scavare canali nel fango per deviare l’acqua. Le infrastrutture idriche – incluse stazioni di drenaggio e pompaggio – risultano fuori uso.

Le Nazioni Unite stimano che circa 850.000 persone vivano in 761 campi profughi altamente esposti al rischio di inondazioni. L’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente) denuncia condizioni in rapido deterioramento:

“Le strade allagate e le tende bagnate rendono ancora più pericolose le condizioni di vita già difficili. Il freddo, il sovraffollamento e le condizioni igieniche precarie aumentano il rischio di malattie e infezioni”, afferma l’Agenzia, sottolineando che tali sofferenze “potrebbero essere evitate grazie ad aiuti umanitari senza ostacoli”.

La denuncia di Save the Children

Save the Children, che lavora a Gaza da oltre 70 anni, descrive una situazione drammatica: quattro degli otto Spazi a misura di bambino sono stati chiusi per allagamenti o danni causati da pioggia e liquami, mentre la mancanza di vestiti adeguati impedisce ai minori di raggiungere anche i pochi servizi rimasti attivi. Alcuni bambini passano la notte svegli al freddo su letti impregnati d’acqua e molti adolescenti devono aiutare le famiglie a riparare le tende danneggiate.

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Bambini nella Striscia di Gaza

L’organizzazione denuncia inoltre le severe restrizioni israeliane all’ingresso di aiuti: nonostante l’annuncio di piani per riaprire il valico di Rafah ai palestinesi in uscita, non è previsto l’ingresso di materiali essenziali come pali delle tende, legname e attrezzi, classificati da Israele come “a duplice uso”. Secondo il responsabile regionale Ahmad Alhendawi, “limitare gli aiuti e offrire un biglietto di sola andata significa spostare i palestinesi dalla loro terra, trasformando la loro sopravvivenza in un’arma contro di loro”.

Dal mese di marzo Save the Children non ha potuto introdurre direttamente i propri rifornimenti nella Striscia, ma continua a distribuire aiuti reperiti localmente: kit invernali, materassi, coperte, teloni, articoli per la protezione dei minori, oltre a 2 milioni di dollari in aiuti in denaro per le famiglie. Grazie alla collaborazione con partner autorizzati, all’inizio di dicembre sono entrati a Gaza 5.750 kit igienici femminili e circa 1.000 kit per l’allattamento.

Aiuti insufficienti: numeri discordanti e un assedio che continua

La situazione dei soccorsi resta critica anche a livello logistico. Un’analisi dell’Associated Press sui dati del Cogat – l’organismo militare israeliano responsabile delle attività civili – indica che dall’inizio del cessate il fuoco entrano in media 459 camion di aiuti al giorno, contro i 600 previsti dagli accordi. Le Nazioni Unite riportano però cifre molto più basse: appena 113 camion quotidiani.

Nel frattempo, condizioni meteorologiche estreme stanno spingendo anche Israele ad adottare misure straordinarie: soldati trattenuti nelle basi, esercitazioni sospese, divieto di dormire all’aperto e limitazioni agli spostamenti. Ma è nella Striscia di Gaza, devastata da due anni di bombardamenti e con quasi l’intera popolazione sfollata, che la tempesta sta lasciando le ferite più profonde.

Le organizzazioni umanitarie insistono: per affrontare l’inverno, servono accesso libero agli aiuti, ripristino dei servizi, ripari adeguati e la fine delle restrizioni israeliane. Senza interventi immediati, le piogge continueranno a trasformare i campi profughi in trappole di fango e acqua contaminata, aggravando un’emergenza che già oggi appare insostenibile.