Sono quasi agli antipodi le voci – e le testimonianze – che hanno riecheggiato giovedì scorso in Consiglio comunale, durante il momento di commemorazione in occasione del 25 novembre.
“Per chi è vittima di violenza servono gesti, non panchine”
A pochi giorni di distanza dal corteo in piazza, in sala consiliare, la Giornata contro la violenza sulle donne è diventata la cornice all’interno della quale sono emerse visioni diverse rispetto al sostegno che viene offerto dal territorio alle donne vittime di violenza. Una sorta di doppia narrazione sulla violenza di genere e sulla tutela dei minori, con la voce compatta di Uscire dal Silenzio, Forum Donne e Tenenza dei Carabinieri da un lato e dall’altro quella della cittadina Sarah Trovato.
Dopo gli interventi delle autorità e delle realtà che operano sul territorio, i lavori del Consiglio si sono aperti con l’interrogazione del cittadino depositata dalla Trovato (volto noto nell’ambito del centrodestra locale) rispetto agli strumenti a disposizione per sostenere le donne vittime di violenza e garantire, attraverso i servizi sociali, la tutela dei minori. Quella che Trovato porta in aula è la sua esperienza esperienza personale che racconta «con un peso sul cuore». Parole dure che la cittadina condensa in un’illustrazione di tre minuti, così come previsto dal regolamento che il presidente Luca Rivoira applica in modo rigoroso. «Ciò che porto qui non è una battaglia contro gli uomini e nè politica. È un appello, un grido per tutte le donne che vivono ciò che nessuno dovrebbe vivere», premette Trovato che poi si concentra su «chi non ce l’ha fatta». «Mi spiace dirlo, ma non tutte in questa città si sono sentite aiutate. Viviamo in una città come Settimo dove le panchine rosse si moltiplicano, i simboli aumentano ma non salvano la vita di nessuno. Mentre si discute se dire sindaco o sindaca, sono i gesti quelli che contano – illustra -. Dopo le denunce, le donne rischiano di perdere i figli o li perdono davvero, vengono guardate come colpevoli, controllate in ogni dettaglio e mentre tutto questo accade, spesso, chi le maltrattava veniva trattato con leggerezza. Ci sono donne costrette a chiedere soldi per comprarsi persino un paio di mutande, ritenute idonee per un figlio ma non per l’altro, donne che cambiano quattro o cinque assistenti sociali e molte non vengono informate dei loro diritti. Così perdono fiducia, tacciono e restano imprigionate in quel vortice di violenza per anni. Io, semplice cittadina e non addetta ai lavori, mi ritrovo ad accompagnarle, ascoltarle e orientarle come posso», ha esposto Trovato, chiedendo chiarimenti sull’iter seguito dai servizi sociali, sui sostegni garantiti alle donne e sul numero di donne che «a seguito di violenza abbiano rischiato di perdere figli e quante li abbiano persi realmente».
La replica dell’assessora
«Nella fattispecie di violenza di genere e sottrazione di minori, le analisi andrebbero fatte singolarmente, a seconda del nucleo familiare», ha replicato l’assessora Chiara Gaiola, spiegando che «non c’è un iter standard che funziona per tutti» ma ci sono .«percorsi personalizzati». «È comprensibile che si generi il timore che la donna vittima di violenza possa perdere i figli perché ha subito maltrattamenti, tuttavia la violenza subita dalla madre non costituisce un motivo di allontanamento dei figli», specifica, sottolineando che «l’obiettivo dei servizi è sostenere la madre nella protezione dei figli, con interventi e strumenti mirati. Ci sono anche strumenti ad hoc come il fondo poverà e il reddito di libertà». Gaiola si prende qualche minuto di tempo in più rispetto ai cinque previsti dal regolamento per difendere il lavoro che viene svolto dai servizi sociali. «Nella delegittimazione dei nostri servizi sociali – chiosa l’assessora alle Pari opportunità e alla tutela dei minori -, sento di dover intervenire perché le figure individuate che lavorano sul territorio sono assolutamente professionali».
«Non sono contenta – controbatte Trovato -. I numeri non me li aspettavo, però penso di non essere la prima ad avervi esposto questo problema. Forse, pubblicamente sì, ma privatamente no. Se l’argomento fosse interessato, si poteva fare qualcosa prima».