Il “no” di Regione alla riforma popolare sulla sanità «è un “no” a centomila lombardi»

La maggioranza ha bocciato la legge di iniziativa popolare sostenuta dal Pd e tesa a superare l’equivalenza tra pubblico e privato

Il “no” di Regione alla riforma popolare sulla sanità «è un “no” a centomila lombardi»

di Nicola Magni

Il tema della sanità pubblica è tornato centrale in Lombardia, tra liste d’attesa e carenze territoriali. Il progetto di legge popolare rappresentava l’occasione per aggiornare la normativa sanitaria e rendere il sistema più vicino ai bisogni delle persone. Martedì 21 ottobre, la maggioranza di centrodestra in Consiglio regionale ha però votato il «non passaggio all’esame degli articoli», bloccando la proposta sostenuta da oltre centomila cittadini e Partito Democratico.

Il testo, frutto di una grande mobilitazione popolare per garantire a tutti i lombardi il diritto alla cura, non ha avuto quindi la possibilità di essere discussa in Aula. Davide Casati, consigliere regionale bergamasco del Pd e membro della Commissione III Sanità, era tra i promotori dell’iniziativa.

Quali erano i punti principali della proposta e quale cambiamento concreto avrebbe portato nel sistema sanitario lombardo?

«La proposta nasce ovviamente dalle continue segnalazioni che abbiamo raccolto nella prima parte della legislatura e quindi abbiamo deciso di avviare una raccolta firme per proporre la modifica della L.R. 33/2009, introducendo un nuovo articolo dal titolo “principi fondamentali”, che prevede l’universalità del servizio, la centralità della prevenzione, la priorità dei servizi territoriali, il governo pubblico degli erogatori. Inoltre, si elimina il concetto di “equivalenza” tra il pubblico e il privato reintroducendo quello di “sussidiarietà”».

La maggioranza ha però scelto di non entrare nel merito. Come interpreta questa decisione?

«Credo che manchi l’umiltà di ammettere che sono stati fatti alcuni errori con le recenti riforme regionali sulla sanità e il fatto che nelle classifiche nazionali la Lombardia sia scesa dal primo al sesto posto lo dimostra. Ed è un peccato, perché (…)

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