Giussano (MB)

Ragazzino adescato sui social, vittima di un pedofilo

Pensava di chattare con una ragazza a cui mandava foto spinte

Ragazzino adescato sui social,  vittima di un pedofilo

Pensava di chattare con una coetanea, invece è rimasto vittima  di un pedofilo. Vittima un 17 enne di Giussano.  Il ragazzino  mandava foto intime e come lui almeno una quindicina di altri minorenni. Arrestato un 29enne residente nel Bresciano.

17enne giussanese finito nelle rete del pedofilo

Era convinto di chattare con una ragazza, ma invece è finito nella rete di un pedofilo.
Un 17enne, residente a Giussano, è rimasto coinvolto in una brutta vicenda, che ha portato all’arresto domiciliare di un 29enne,   nato in Bulgaria ma residente a Darfo Boario Terme, in provincia di Brescia.
Il giovane, al quale è stato disposto anche il divieto di allontanamento, utilizzando un profilo fake, contattava i ragazzini sui social chiedendo loro foto e video dai contenuti piuttosto espliciti. Li adescava online, carpendo la loro fiducia e li convinceva ad inviare immagini o video sessualmente spinti, celando però la sua vera identità.

Almeno una quindicina di vittime, tutti minorenni tra i 13 e 17 anni

Le vittime, almeno una quindicina, tutti adolescenti tra i 13 e i 17 anni, residenti in vari Comuni della provincia di Brescia ma anche fuori zona, credevano di parlare con una loro coetanea; dall’altra parte del telefono, invece, c’era il 29 enne: un allenatore di basket in una squadra del bresciano, arrestato lo scorso venerdì 17 ottobre con l’accusa di violenza sessuale aggravata, pornografia minorile e sostituzione di persona. Per oltre un anno ha continuato ad adescare ragazzi: i primi episodi infatti risalgono al 20 agosto 2023 e sono proseguiti fino al 27 ottobre 2024.

Chat con richieste di foto spinte

Tra gli ultimi finiti nella sua rete, proprio il ragazzo giussanese che il 15 ottobre dell’anno scorso , convinto di chattare con una ragazza, ha inviato una foto ritraente gli organi genitali.
Tutto era iniziato da un contatto nato su Instagram: il 17enne ha iniziato una conversazione virtuale convinto di scrivere ad una coetanea, Marta, e invece dietro quel finto nome c’era il 29enne finito agli arresti. L’uomo si spacciava per Marta ma usava le fotografie di un’altra ragazza, della provincia di Venezia di 29 anni, a sua volta vittima del pedofilo.
«Di che anno sei?» aveva chiesto al ragazzino – sincerandosi che fosse minorenne – «07» aveva risposto il giussanese. Da qui una serie di messaggi, fino a convincerlo a mandargli delle foto del proprio organo genitale, avvenuta il giorno successivo, il 16 ottobre di un anno fa. A fine agosto di quest’anno il 17enne è stato sentito dai Carabinieri di Giussano ed è stato ricostruito tutto. Il ragazzino ha raccontato di essere stato contattato su Instagram da Palumbo dopo una partita di basket e che questi gli aveva fornito il numero telefonico di quella che lui pensava fosse una ragazza con la quale ha iniziato a chattare e mandare foto.

Da un anno si indagava

Stesso copione usato con tutti i ragazzi adescati, più di una quindicina.
«Mi manderesti una tua foto?», e ancora: «Resta tra noi due». Questo il tenore dei messaggi ricevuti dai ragazzi, uno dei quali però, dopo essere stato contattato dalla «finta ragazza» che gli chiedeva foto esplicite, aveva raccontato di quella strana conversazione ai genitori. Era il 16 ottobre 2024. Da lì sono partite le indagini.
Il ragazzino, bresciano, ha quindi proseguito la conversazione con la sedicente ragazza accanto alla madre, fino a capire che dietro l’immagine profilo della giovane che gli scriveva, dietro le conversazioni spinte e le insistenti richieste, si celava invece il suo allenatore di basket.

Da qui gli accertamenti sull’utenza telefonica risultata in uso al 29enne. Sui dispositivi gli inquirenti hanno trovato le chat intraprese con gli adolescenti (almeno 16, intraprese nel corso del 2024), oltre a foto, video e altro materiale pedopornografico che l’uomo, residente nella bassa Val Camonica ma impegnato nelle palestre di Brescia e della Bassa, avrebbe convinto i ragazzi a inviare. Il profilo era “reale”, rubato a una ragazza a cui aveva hackerato l’account: il resto era tutta una raccapricciante finzione.